Zeytinyağlılar, l’essenza dell’Egeo
In una cucina turca, quella vera, con le tende leggere mosse dal vento e il profumo di erbe fresche che si mescola a quello del caffè lasciato a metà, c’è sempre una pentola che borbotta piano. Non contiene carne, né spezie forti, né salse elaborate. Solo verdure, olio d’oliva, un pizzico di zucchero e limone. Ma da quella semplicità nasce qualcosa di profondamente poetico: lo zeytinyağlı, uno dei segreti meglio custoditi della cucina turca. Zeytinyağlılar, letteralmente “quelli con olio d’oliva”. Non si tratta di una singola pietanza, ma di una vera e propria categoria gastronomica che racconta una storia di clima mite, di raccolti generosi e di una cultura culinaria antica che ha fatto dell’olio d’oliva il suo emblema.
Una radice che affonda nell’antichità
La tradizione ha radici profonde che risalgono all’epoca ottomana, ma affonda anche nelle cucine dell’Asia Minore greca e dell’Impero Bizantino. Le popolazioni dell’Egeo – sia turche che greche – hanno sempre condiviso un amore per i piatti a base vegetale cucinati lentamente in olio d’oliva. Lungo le coste della Turchia occidentale, dove gli ulivi punteggiano il paesaggio e il sole riscalda la terra per buona parte dell’anno, si è sviluppata una vera e propria filosofia culinaria fondata sulla semplicità e sul rispetto degli ingredienti di stagione. Il termine zeytinyağlılar non indica una singola ricetta, ma una famiglia di piatti a base di verdure stufate dolcemente in olio d’oliva, talvolta arricchite con riso, erbe aromatiche e un pizzico di zucchero. Sono piatti serviti freddi, soprattutto nei mesi caldi, e rappresentano uno degli emblemi della cucina ev yemeği, quella casalinga, spesso trasmessa da madre in figlia.
Un rituale gastronomico
Lo zeytinyağlı non è una ricetta ma un modo di cucinare, quasi un rituale. Le protagoniste sono le verdure – fagiolini, carciofi, porri, melanzane, zucchine, sedano rapa, foglie di vite – che vengono stufate lentamente con cipolla, riso o bulgur, zucchero e succo di limone. Il risultato è un piatto che non ha fretta, pensato per essere consumato freddo, magari il giorno dopo, quando gli aromi hanno avuto tempo di abbracciarsi. Un classico intramontabile? Lo zeytinyağlı enginar, il carciofo cotto con patate, carote e piselli, profumato con aneto fresco e servito come una scultura vegetale. Le yaprak sarma, o dolma, foglie di vite arrotolate attorno a un ripieno di riso, pinoli, uvetta e spezie dolci come la cannella. I zeytinyağlı fasulye (fagiolini in umido), oppure i kereviz (sedano rapa) tagliati a fette rotonde e profumati con scorza d’arancia.Ogni variante racconta la stagione in cui è nata, la mano che l’ha cucinata, la regione che l’ha generata.
Un’eredità che sa di casa
Per assaporare i zeytinyağlılar nella loro forma più autentica, non c’è luogo migliore delle cucine familiari, soprattutto nelle regioni dell’Egeo, come Smirne (İzmir), Foça, Edremit, Ayvalık o Bodrum. ogni madre, ogni nonna ha la sua versione preferita, la sua tecnica, il suo tocco segreto. Qui, è comune che vengano serviti come antipasti durante una cena in famiglia o tra amici, magari accompagnati da un bicchiere di rakı, liquore all’anice locale. Se abbiamo la fortuna di essere invitati a pranzo da una signora egea, è probabile che prepari almeno tre o quattro piatti zeytinyağlı per iniziare il pasto, ognuno con un tocco personale. Ma li troviamo anche nei meyhane, le tradizionali taverne turche, dove il pesce fresco condivide la tavola con meze colorati. Ad Ayvalık o a Cunda, nelle trattorie sul mare, vengono portati in piccole ciotole di ceramica, accompagnati da pane caldo e da un bicchiere di rakı. Ogni sera vengono esposti decine di piccoli piatti, ognuno un piccolo omaggio alla cucina vegetale turca. In questi luoghi, il zeytinyağlı non è solo cibo: è memoria, è tradizione, è l’eco di una cultura contadina che ha saputo fare del poco un tesoro.
Un’identità delicata e resistente
Nonostante la loro semplicità, i zeytinyağlılar sono portatori di un’identità culturale ben definita. In un mondo che cambia rapidamente, dove il cibo tende a essere sempre più veloce e omogeneo, questi piatti rappresentano una forma di resistenza culinaria: richiedono tempo, attenzione, rispetto della stagionalità. Sono il simbolo di una cucina che sa rallentare, che rispetta i ritmi della terra e della tavola.