Piana di Cittavecchia
Dove l’agricoltura greca vive da 24 secoli

 

Camminando tra olivi e pietre, immaginiamo di tornare al IV secolo a.C., quando colonizzatori greci provenienti da Paro approdarono su Lesina, in Dalmazia, e fondarono la città che chiamarono Pharos. Da quel momento decisero di plasmare il terreno che ne avrebbe sostenuto la vita: il fertile altopiano che oggi conosciamo come Cittavecchia. Fu allora che venne concepito un progetto ambizioso e rigido: suddividere la pianura in parcelle regolari, delimitate da muri a secco e percorse da vie rettilinee, e assicurarsi che l’acqua piovana venisse raccolta attraverso serbatoi e canali — tutto ciò in un paesaggio che sarebbe servito anche alla protezione del territorio.

Un paesaggio rimasto quasi immutato
Quarter dopo quarter, muro dopo muro, la disposizione originaria greca è rimasta sostanzialmente intatta nei secoli. Ancora oggi le pietre a secco disegnano i confini dei lotti, i piccoli ripari in pietra (trims) offrono rifugio nei campi, e le coltivazioni — in particolare viti e ulivi — seguono le stesse antichissime tracce dell’agricoltura greca. Non si tratta di un rudere elegante: questa è una campagna viva, ora come allora, dove ogni campicello conserva la sua funzione.

I volti del tempo: trasformazioni e continuità
Nonostante le epoche passate — il dominio romano, il Medioevo, la dominazione veneziana, fino ai tempi moderni — Cittavecchia non ha smesso di respirare. I Romani, per esempio, adattarono le strutture, costruirono ville rurali, ma non abolirono il sistema di parcelle: semplicemente modificarono alcuni dettagli. Nel Medioevo, villaggi come Dol, Vrbanj o Pitve sorsero lungo i margini del piano, sorsero cappelle, nuove strade, ma il disegno geometrico rimase.

Il valore universale che protegge e ispira
Quello che vediamo non è solo un paesaggio bello da guardare: è un documento vivente. La piana è riconosciuta dall’UNESCO come sito di Patrimonio dell’Umanità soprattutto per tre motivi fondamentali. Primo, perché testimonia la diffusione, nel Mediterraneo, del modello greco di suddivisione geometrica delle terre. Secondo, perché queste terre non sono rimaste ferme: sono state coltivate ininterrottamente per oltre 2.400 anni, con le stesse colture principali. Terzo, perché rappresenta un esempio di insediamento umano tradizionale che oggi rischia la perdita, a causa dello spopolamento rurale e dell’abbandono delle pratiche agricole antiche.

Guardando al futuro con responsabilità
Siamo noi oggi i custodi di questa eredità. L’area è protetta, è stato istituito un ente di gestione che vigila sull’equilibrio tra turismo, conservazione e vita locale. Ci sono sforzi concreti per restaurare i muri a secco, ripristinare le vie antiche, promuovere le coltivazioni tradizionali, e assicurare che lo sviluppo non cancelli ciò che ci legava al passato. Se guardiamo con attenzione, possiamo ancora leggere nei confini di pietra, nei solchi che dividono i campi, nelle cisternette che raccolgono l’acqua, non solo la storia, ma la continuità di un legame tra uomo e terra, resistente ma fragile. 

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