Una strada lunga e sottile
Âşık Veysel ha accompagnato gli oltre 30 anni del mio viaggio in Turchia. Le sue canzoni, mistiche, tristi, nostalgiche, introspettive, che parlano di amore e di vita, non sono mai mancate tra le corde dei bağlama suonati nei momenti passati con gli amici.
In Cappadocia, sul finire della sera, quando la notte sta per iniziare, quando i turisti si ritirano e tutto intorno c’è una silenziosa quiete, inizia il momento della giornata che preferisco: quello in cui chi lavora per le vacanze degli altri si prende del tempo per sé, una specie di tappa di decompressione, prima di andare a dormire.
Poco importa se la giornata è stata lunga e intensa, se è già tardi, se bisogna alzarsi presto o prestissimo per un volo all’alba in mongolfiera: prima di andare a dormire occorre un momento di relax con gli amici. Questi attimi spesso si trasformano in ore e, tra chiacchiere e racconti, c’è sempre qualcuno che, sorseggiando un çay o un bicchiere di rakı, prende in mano il bağlama, lo strumento a corde con la cassa bombata e il manico sottile che molti scambiano per un saz, e inizia a suonare le canzoni della tradizione.
Allora l’angolo del ristorante appena chiuso o il negozio di tappeti ormai senza clienti, si trasforma nella più formale sala da concerto: quando si suona non si parla e se si contravviene a questa regola, il saz sanatçısı, suonatore di saz, spesso si offende e smette di suonare; si può invece partecipare tenendo il ritmo con qualsiasi cosa faccia rumore o cantando il ritornello. Ritmi morbidi, voci profonde, melanconiche e struggenti accompagnano i temi generalmente legati all’amore e alla vita. All’inizio dalla mia avventura in Turchia, era il 1990, le canzoni mi sembravano tutte molto simili, quasi noiose, ma ce n’era una ben diversa dalle altre, per ritmo e soprattutto intensità. Non mancava mai nella scaletta del concerto improvvisato, sia che suonasse Şükrü, Çiko, Mehmet o Kahan. Il pezzo era ripetitivo, mistico, introspettivo, le parole ipnotiche, avevano un’eco profonda e anche se allora non comprendevo il turco, qualcuna non era difficile da carpire. Parlava di cammino, di una strada, lunga, e due porte, e mi dissero che l’autore continuava a camminare.
Quando iniziava quella canzone succedeva qualcosa di diverso: si lasciava l’onore dell’assolo al suonatore, l’attenzione si trasformava in stima, in devozione, sembrava quasi che le persone si alzassero in piedi con la mano sul cuore, ognuno ripetendo a bassa voce le parole.
Ho chiesto ad un amico di scrivermi il titolo e il nome dell’autore: era Uzun İnce Bir Yoldayım, ‘Sono su una strada lunga e sottile’, di Âşık Veysel. Ho cercato di farmi spiegare il testo e soprattutto il significato ma senza molto successo, nel ’90 parlavo turco solo con l’aiuto di un vocabolario tascabile e non era facile come oggi reperire le parole delle canzoni, tradurre on-line o trovare la spiegazione critica del testo però il mio amico aggiunse: “E’ un cantante cieco, ma vedeva il mondo molto meglio degli altri, perché vedeva con il cuore” e tutti, amanti della musica tradizionale o no, hanno per lui un grandissimo rispetto.
Ci sono diverse versioni del testo, qui ne trovate una
Testo in turco Uzun ince bir yoldayım Dünyaya geldiğim anda Düşünülürse derince |
Traduzione in italiano Sono su una strada lunga e stretta Sono su una strada lunga e sottile Vado giorno e notte Io non so, come sono? Vado giorno e notteSono su una strada lunga e sottileVado giorno e notte Io non so, come sono? Vado giorno e notte Giorno e notte Giorno e notte Giorno e notte Nel momento in cui sono venuto al mondo Se pensi profondamente |
Una registrazione originale della sua voce e della canzone la potete ascoltare qui.